Autoreferenzialità: il passaggio obbligato tra individuo e gruppo
La riflessione mi è scaturita dopo aver osservato le manie (alcune affermate, altre in sviluppo) di questi ultimi anni sui Social Network.
Il primo fenomeno che non può non catturare l’attenzione è quello dei “selfie” (al secolo… “autoscatti”), qualcosa di incredibilmente presente a tutti i livelli “social”.
Ormai il selfie è la norma, con espressioni che variano dall’idiota al piacione, dalla seduttrice alla suora, dal serio al faceto con tutte le gamme espressive possibili in mezzo.
Parliamo quindi di foto di sé stessi, ma non nella quantità esigua normalmente necessaria a una qualche attività… e nemmeno di quegli autoscatti che possono avere un senso quando si vuole conservare il ricordo di un momento particolare, quanto in numero elevatissimo. Ci sono persone che passano sui propri profili decine di ritratti e autoritratti. Inutile sottolineare come questo tipo di foto non sia altro che una continua celebrazione dei sé stessi, ma non per motivi personali, quanto per “imporre” la propria immagine all’esterno (spesso nemmeno genuina). Un modo per urlare “IO, IO, IO”.
Poi abbiamo la foto del gatto (più raramente del cane). Non è raro vedere profili in cui i propri gatti vengono fotografati in continuazione, manco fossero gli unici del pianeta. Anche qui, l’autocompiacimento è abbastanza evidente. Al di là di coloro che si definiscono “mamme” o “papà” dell’animale in questione, magari parlando pure in terza persona, cosa che attiene ad altra riflessione su cui preferisco stendere un velo pietoso, è comunque sempre ostentare qualcosa di proprio e quindi ancora l’autocelebrazione sotto (nemmeno troppo) mentite spoglie.
Di esempi ne abbiamo sotto gli occhi in continuazione e c’è ovviamente chi di questa mania fa occasione di business, e infatti esplode la mania dei droni, di tutte le fogge e misure, che ancora servono in realtà a realizzare dei selfie, anche se più sofisticati.
Intendiamoci, non facciamo di tutta l’erba un fascio. Ci sono persone che sulla diffusione della propria immagine basano l’intera vita lavorativa (prima fra tutte Kim Kardashian, regina assoluta della commercializzazione del nulla) oppure che pubblicizzano le proprie imprese, come atleti o registi. Ma qui non parliamo di questi casi che possono magari trovare un senso, quanto nella marea di autoreferenzialità immaginifica che sembra aver infettato come un virus la maggior parte dell’umanità.
Ebbene, osservando il periodo storico e attingendo alle riflessioni imposte da alcuni testi classici dell’esoterismo, come ad esempio quelli del M. Morya oppure di Steiner o della Bailey, la cosa evidente è che negli ultimi secoli, l’umanità ha scoperto una cosa fondamentale: l’individuo. Dove prima c’era la massa, la gente, oggi si trovano le persone. Evidente il movimento new age a sua volta derivato da quello hippy che in questo ha posato davvero tanti mattoni fondamentali.
L’individuo come conquista personale non è davvero qualcosa di vecchio. Fino a poco prima di questo secolo, l’individualità non era osteggiata: non esisteva quasi, se non in casi particolari.
In realtà la coscienza individuale non ha, in senso lato e non esoterico, più di due – trecento anni.
Quello che segue, e di cui già possiamo vedere i semi, è la coscienza di gruppo che non è la mancanza di individualità, ma l’unione consapevole di individui.
La cosiddetta globalizzazione, per quanto mal fatta e di fatto spesso completamente sovvertita, altro non è che il seme sociale di questo tipo di evoluzione della coscienza umana.
Oggi si cerca in tutti i modi di distruggere l’individualità, appiattendo e “omoformando” le masse, ma questo è un altro paio di maniche, una “reazione reazionaria” che attiene, in ambito di dualità, al polo opposto della coscienza di gruppo, pur prendendone le sembianze.
Il mio personale pensiero è che l’esasperazione dell’autoreferenzialità di questo particolare periodo storico, altro non sia che un passaggio obbligato, una sorta di “passo” tra l’individuo fine a sé stesso e quello che consapevolmente si unisce ad altri in vista di uno scopo superiore o quantomeno di un ideale pubblico.
Certo, a vedere certe facce da cretina/o viene da pensare tutto tranne che ad un individuo ma è anche vero che l’inconsapevolezza totale non impedisce comunque il volgere evolutivo globale in una ben specifica direzione: quella dell’unità.
Bocche a culo di gallina e gatti ritratti in espressioni che hanno un senso solo per chi li fotografa sono come sempre rappresentazioni della stessa medaglia: da un lato l’individuo che proclama sé stesso, dall’altra l’individuo che condivide sé stesso con la comunità.
Quello che fa la differenza è come sempre la consapevolezza di quale delle due fazioni sia quella in cui ci si posiziona. Consapevolezza che, ne sono certo, prima o poi comincerà a fare capolino anche nei più resistenti.
Magari più poi che prima ma inesorabilmente farà la sua comparsa.
Quantomeno si spera….
Bell’articolo, complesso ed estremamente condivisibile. La globalizzazione umana attraverso l’espressione ossessiva di una presunta individualità autocelebrata è ormai prossima, con l’appiattimento di ciò che veramente ogni individuo è, sacrificato sotto il peso di una colossale pluralità omologata e replicante se stessa. Basti vedere, oltre ai selfie da te citati, come globalmente ci si inserisca in “macro categorie” in nome di una presunta affermazione di sè; mi vengono in mente, ad esempio, i tatuaggi. Oggi il vero anticonformista, il “rivoluzionario”, è colui che un tatuaggio non ce l’ha, sebbene ogni singola persona tatuata affermi di essersi fatta tatuare per meglio esprimere se stessa (ovviamente postando foto del prima, durante e dopo tatuaggio sui social…).
Complimenti ancora per l’articolo. Curioso un po’ in giro nel tuo blog… ciao! 🙂
Ma grazie! Ancora… fai come fossi a casa tua, gradita ospite!