Il no e l’arte di dissentire

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Prima o poi parleremo a fondo di quella cosa chiamata “stare in piedi da soli” ma certamente, un suo aspetto fondamentale è rappresentato dal dissentire. Che poi se uno guarda l’etimologia del verbo, vede subito che significa “sentire diversamente”. Quando uno dissente, significa che non è d’accordo con quello che si sta dicendo o facendo.

Il “no”, è sostanzialmente quella parola su cui, come credo tutti i genitori sanno, si incaponisce prima o poi un bambino. E’ il periodo del “no”, per cui a qualunque domanda, proposta o idea, il bimbo risponde, appunto, “NO!” e non solo: non gli va proprio bene nulla.

Il no è la prima affermazione separatoria e l’inizio del suo uso coincide infatti con la strutturazione dell’ego, che nel caso del bambino implica la nascita dell’individuo. Quando il bimbo dice “no”, di fatto si sta “separando”, nel senso che sta “preparando se stesso” e per farlo pone una barriera, una prima distanza tra se stesso e il mondo, proprio tramite la negazione.

Un adulto dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) conoscere bene questo meccanismo e sapere anche che non sempre è un’affermazione egoica nel senso negativo del termine. E questo perchè il tanto demonizzato ego, altro non è che uno dei nostri strumenti principali per sperimentare il mondo. Certo, quando il suddetto strumento sfuggendo di mano al suo proprietario, prende il controllo, si ammutina e stabilisce la propria “indipendenza” rispetto alla volontà del suo (presunto) padrone, allora succedono i casini ma sta di fatto che comunque di strumento trattasi, strumento che, se usato correttamente, ci permette davvero di fare letteralmente miracoli.

Arrivati in età adulta quindi, saper dire “no” a qualcosa che non sentiamo, riveste ancora più importanza che per il bimbo. Noi siamo, o dovremmo essere, già strutturati e quindi il “no” non è più un modo per prendere le misure in modo da riconoscerci (quanto meno non solo), ma lo strumento per separarci da ciò che riteniamo ingiusto per il nostro sentire.

Ora, fintanto che dissentiamo in un rapporto diretto, oppure mentre siamo dalla parte della maggioranza, del pensiero comune, ecco che il no è in realtà un “si”, da un punto di vista subliminale, perchè siamo dalla parte dei più (ma questo è un discorso che faremo più in là).

Ben diverso è invece quando siamo da soli a voler dire “no”, magari davanti ad una maggioranza. E di situazioni come queste ne capitano in continuazione: in un gruppo di amici, in un gruppo di lavoro, oppure semplicemente quando esprimiamo il nostro sentire che, per caso o meno, va contro quello della maggioranza.  Lì improvvisamente risulta difficile. Entra la paura di essere esclusi, di essere criticati, licenziati, magari puniti, dalla legge o da qualche fanatico. Ma anche semplicemente l’impatto psicologico derivante dall’andare contro un pensiero comune non è cosa leggera.

E’ così che poi le persone ad un certo punto, come si suol dire, sbarellano. A furia di reprimere il proprio sentire, specialmente quando lo stesso si oppone ad una logica  o pensiero di massa (e credetemi sulla parola: ho una certa esperienza in merito), il nostro essere si ribella e quel meraviglioso (quanto delicato) sistema operativo che è la nostra mente viene messo in contraddizione interna e… salta per aria.

Il mio suggerimento quindi è: impariamo a dissentire. A farlo nel modo più corretto, più sano e più coerente con la nostra persona e personalità.

Non sempre dissentire significa alzare la voce, oppure ficcare un cazzotto in faccia a qualcuno. Certo, a volte ci si arriva, oppure è indispensabile per la nostra protezione. Ma questo è un caso estremo. In tutti gli altri, un semplice no, a volte è addirittura già tanto. In ogni  modo, specialmente quando ciò da cui si dissente è considerato sacro dalla maggioranza, occorre tatto (almeno all’inizio) e soprattutto una completa, radicata fermezza nell’intenzione.

Quando dissentiamo, esattamente come un bimbo che afferma la propria individualità, stiamo contemporaneamente affermando il contrario di ciò da cui dissentiamo. Farlo senza apparire fanatici, è di estrema importanza per non cadere nello stesso errore in cui, nella maggioranza dei casi, si muovono coloro nel confronto dei quali stiamo dissentendo.

Ma soprattutto, ricordiamoci che dissentire non deve implicare in alcun modo fare cambiare idea agli altri. Paradossalmente è più facile creare un cambiamento in qualcuno accompagnandone il pensiero nella direzione corretta che non sbattendogli in faccia quello che pensiamo. Altrimenti diventa uno scontro di ego del tutto improduttivo.

Chiaro che stiamo parlando di una discussione pacifica. Se dobbiamo esprimere il nostro dissenso verso qualcuno che ha deciso di ammazzarci, bisogna saper capire quando la democrazia è inutile e passare all’azione diretta (che ovviamente comprende anche la fuga).

Ma quando la discussione verte su questioni di principio, è spesso inutile opporre una posizione all’altra. Manteniamo la nostra con totale fermezza e spieghiamo il motivo per cui lo facciamo. Colui o coloro che la pensano nel modo da cui stiamo dissentendo percepiranno che non c’è da parte nostra il desiderio di fargli cambiare idea e, paradossalmente, il più delle volte si troveranno a rispettare il nostro sentire. Il che, alla fine, ci porta al risultato voluto: esprimere il nostro sentire in libertà. Perchè alla fine, quello che fa la differenza per ognuno di noi, è essere liberi di esprimere il proprio sentire. Se poi questo implica una discussione, o uno scontro, è questione successiva.

Nella maggioranza dei casi per dissentire ci si troverà a fare una grandissima fatica per andare oltre tutte le nostre paure (giustificate o meno che siano) e dovremo lottare per poter esprimere il nostro “dis – sentire”.  Ma è fondamentale farlo, perchè è con il silenzio al momento sbagliato che si perde la propria libertà.

Quando dissentiamo, stiamo sostenendo la nostra libertà di individui, il nostro essere umani e non bestie ed il nostro diritto ad un pensiero ed una coscienza individuali.

Come nota finale, invito a fare attenzione alle parole che ho usato. Ho parlato di “sentire”… non di “opinione” che col sentire non c’entra una beata favazza!

Ci si vede in giro.

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