Presenza e meditazione non sono la stessa cosa

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Ormai cre­do che si par­li ovun­que, spes­so e volen­tie­ri, di pre­sen­za inte­sa come atten­zio­ne e foca­liz­za­zio­ne al momen­to presente.

Fer­mo restan­do che uno sta­to di pre­sen­za inte­so in tal modo è già fuo­ri dal­la por­ta­ta del 99% di noi, ciò non toglie che tale pre­sen­za non abbia nul­la a che vede­re con quel­la che vie­ne con­si­de­ra­ta vera Pre­sen­za ne, tan­to­me­no, con gli sta­ti pro­pria­men­te defi­ni­ti come “medi­ta­zio­ne”.

Cer­chia­mo quin­di di fare un po’ di chia­rez­za, par­ten­do da alcu­ni con­cet­ti base.

Per pri­ma cosa, in estre­ma sin­te­si, cer­chia­mo di com­pren­de­re che la per­so­na­li­tà inte­sa come insie­me di cor­po, men­te ed emo­zio­ni, è qual­co­sa che potrem­mo defi­ni­re come l’ul­ti­mo e meno signi­fi­ca­ti­vo costi­tuen­te di un esse­re uma­no. Tut­ta­via oggi la per­so­na­li­tà è già di più di quel­lo che il 99% di noi spe­ri­men­ta come “noi stes­si”, dato che l’in­con­scio ed altre par­ti psi­co­lo­gi­che esi­sten­ti oltre la soglia del­la nor­ma­le con­sa­pe­vo­lez­za, pur essen­do appun­to “non coscien­ti”, fan­no anco­ra par­te del­la personalità.

Die­tro la per­so­na­li­tà (o a mon­te, se voglia­mo) esi­ste mol­to di più: c’è un “Esse­re” che è il vero “noi stes­si”, e la cui esten­sio­ne ed espan­sio­ne è total­men­te incom­pren­si­bi­le se vista dal­la per­so­na­li­tà (poi c’è anco­ra altro ma per quel­lo che ci riguar­da in que­sto post è per­fet­ta­men­te inu­ti­le parlarne).

Pos­sia­mo dire che la per­so­na­li­tà si dis­sol­ve com­ple­ta­men­te al momen­to del­la mor­te e l’Es­se­re è inve­ce quel­la par­te che non muo­re mai e che pas­sa da una vita all’al­tra, cam­bian­do la per­so­na­li­tà allo stes­so modo in cui un arti­gia­no si veste in modo con­so­no all’at­ti­vi­tà che deve svolgere.

Det­to que­sto, tor­nia­mo al noc­cio­lo: lo sta­to di pre­sen­za e quel­lo di Pre­sen­za sono due cose com­ple­ta­men­te diverse.

Il pri­mo impli­ca che la men­te, inte­sa come stru­men­to abi­tua­le di ragio­na­men­to, le emo­zio­ni e il cor­po sono foca­liz­za­ti all’i­stan­te pre­sen­te. Non si per­do­no, non diva­ga­no, sono atten­ti e “a fuo­co” sul­la cosid­det­ta real­tà. E’ di per sé uno sta­to che le per­so­ne abi­tual­men­te sten­ta­no a spe­ri­men­ta­re, se non in alcu­ni spe­ci­fi­ci casi del­la vita, oppu­re uti­liz­zan­do alcu­ne tec­ni­che e pra­ti­che vol­te ad otte­ne­re ciò (ad esem­pio i vari eser­ci­zi di osser­va­zio­ne di Gur­d­jieff oppu­re la cosid­det­ta “medi­ta­zio­ne min­d­full­ness” che non ha nul­la a che vede­re con la medi­ta­zio­ne reale).

In que­sto pri­mo sta­to di con­sa­pe­vo­lez­za aumen­ta­ta è pos­si­bi­le osser­va­re la real­tà in un modo deci­sa­men­te diver­so e, con il pas­sa­re del tem­po e del­la pra­ti­ca, arri­va­re ad osser­va­re e gesti­re in modo qua­si effi­ca­ce i pro­pri pen­sie­ri e le pro­prie emo­zio­ni. Qual­co­sa di estre­ma­men­te uti­le, fuo­ri da ogni dub­bio e che può dona­re una per­ce­zio­ne del mon­do e di noi stes­si com­ple­ta­men­te diver­sa da quel­lo che vie­ne spe­ri­men­ta­to abitualmente.

Nel secon­do caso inve­ce, La Pre­sen­za defi­ni­sce uno sta­to in cui la per­so­na­li­tà non è più tut­to ciò di cui sia­mo a cono­sen­za di noi stes­si ma impli­ca lo spo­sta­men­to (anche se sareb­be meglio chia­mar­lo “ritor­no”) del­la con­sa­pe­vo­lez­za a livel­lo dell’Essere.

Si trat­ta di uno sta­to che non ha qua­si nul­la a che vede­re con quan­to rag­giun­gi­bi­le con tec­ni­che qua­li Min­d­full­ness o altro, e che cor­ri­spon­de alla pie­na rea­liz­za­zio­ne del pro­prio Esse­re. Uno sta­to di que­sto tipo, pur non essen­do anco­ra defi­ni­bi­le di Illu­mi­na­zio­ne, è comun­que qual­co­sa di incre­di­bil­men­te ele­va­to, se visto dal­la abi­tu­di­na­ria con­sa­pe­vo­lez­za, com­ple­ta­men­te fuo­ri dal­la por­ta­ta di qua­lun­que disci­pli­na o tec­ni­ca, tran­ne due: l’e­ven­to straor­di­na­rio o lo sta­to di meditazione.

Del pri­mo (even­to straor­di­na­rio), è inu­ti­le par­la­re, trat­tan­do­si appun­to di straor­di­na­rie­tà. Se capi­ta, ovvia­men­te non a caso ma a segui­to di una deter­mi­na­ta serie di even­ti, capi­ta. Pun­to. Ma è estre­ma­men­te raro.

Del­la medi­ta­zio­ne inte­sa in sen­so pro­prio abbia­mo par­la­to spes­so ma, in buo­na sostan­za, quel­lo che occor­re capi­re è che NON SI TRATTA DI UNA TECNICA MA DI UNO STATO DI COSCIENZA.

Quan­do si par­la di “medi­ta­zio­ne min­d­full­ness” o “medi­ta­zio­ne vipas­sa­na” o qua­lun­que altra tec­ni­ca, non stia­mo par­lan­do di medi­ta­zio­ne ma, al mas­si­mo, di con­cen­tra­zio­ne; una con­cen­tra­zio­ne maga­ri anche mol­to ele­va­ta che può por­ta­re alla medi­ta­zio­ne ma non è affat­to det­to che lo fac­cia. Si trat­ta cer­ta­men­te di livel­li di con­sa­pe­vo­lez­za mol­to par­ti­co­la­ri ma, ripe­to, non han­no nul­la a che vede­re con lo sta­to di meditazione.

Il moti­vo per cui si ten­de a con­fon­de­re uno sta­to di con­cen­tra­zio­ne con quel­lo di medi­ta­zio­ne è sem­pli­ce: acca­de per­chè non si è mai entra­ti in medi­ta­zio­ne. Que­sto avvie­ne per il sem­pli­ce fat­to che la medi­ta­zio­ne è uno sta­to di coscien­za ogget­ti­va­men­te tale e dun­que, nel momen­to in cui lo si spe­ri­men­ta, non lascia adi­to a dub­bi. Ma se non lo abbia­mo mai spe­ri­men­ta­to e ci tro­via­mo in uno sta­to di for­te pre­sen­za o con­cen­tra­zio­ne, ecco che si pen­sa di esse­re arri­va­ti alla medi­ta­zio­ne. Non è così, ma si può capi­re, o meglio com­pren­de­re, solo dopo aver spe­ri­men­ta­to anche solo per la pri­ma vol­ta un auten­ti­co sta­to di meditazione.

E’ come se una per­so­na che è sem­pre vis­su­ta in uno sper­du­to pae­se del­la Sibe­ria, maga­ri sen­za un’i­stru­zio­ne e con pochi con­tat­ti con il resto del mon­do, si tro­vas­se un gior­no sul­le spon­de del Lake Supe­rior (il più gran­de dei gran­di laghi del­l’A­me­ri­ca del nord), un lago così este­so che in mol­te par­ti la spon­da oppo­sta non è visi­bi­le. A quel pun­to potreb­be pen­sa­re di tro­var­si al mare, un pen­sie­ro che è del tut­to leci­to (a par­te per il fat­to che l’ac­qua non è sala­ta), ma che sva­ni­reb­be all’i­stan­te nel momen­to stes­so in cui quel­la stes­sa per­so­na si tro­vas­se sul­le rive del­l’O­cea­no Atlan­ti­co: la per­ce­zio­ne sareb­be così diver­sa da ren­de­re ine­qui­vo­ca­bi­le l’e­spe­rien­za (e fare allo stes­so tem­po capi­re che quel­la pre­ce­den­te asso­mi­glia­va al mare ma non lo era).
Tut­ta­via, pri­ma di spe­ri­men­ta­re l’O­cea­no, sareb­be impos­si­bi­le com­pren­de­re di tro­var­si solo in riva ad un lago, per quan­to esteso.

Oggi la civil­tà occi­den­ta­le sta attra­ver­san­do un momen­to di tota­le mate­ria­li­smo e di incre­di­bi­le distan­za dal­la spi­ri­tua­li­tà. La mora­le, il pen­sie­ro, le leg­gi… tut­to è espres­sio­ne di una qua­si com­ple­ta dis­so­cia­zio­ne da tut­to ciò che non è mate­rial­men­te spe­ri­men­ta­bi­le. Ma dato che la mate­ria è la for­ma di ener­gia meno dila­ta­ta che pos­sia­mo incon­tra­re, ecco che la mag­gior par­te del­la vita e del­l’u­ni­ver­so sono sem­pre più fuo­ri dal­la nostra portata.

E’ in que­sto ambi­to che fio­ri­sco­no cose come la Min­d­full­ness (e le rela­ti­ve tec­ni­che come la MBSR) che altro non sono che la ridu­zio­ne, spes­so ter­ri­bil­men­te dra­sti­ca, di ben altro, crea­te al solo sco­po di ren­der­le adat­te alla men­ta­li­tà occi­den­ta­le. Il che non sareb­be un pro­ble­ma se non fos­se che, in que­sto modo, si spac­cia il rame (quan­do va bene) per vero oro. Per l’a­mor del cie­lo, il rame ha la sua uti­li­tà e la sua fun­zio­ne ma non ha nul­la a che vede­re con l’o­ro. Quin­di una MBSR che ci por­ta a ridur­re lo stress indot­to dal­la nostra vita scel­le­ra­ta è sicu­ra­men­te uti­le ma in modo “loca­le”, estre­ma­men­te limi­ta­to. Tan­to quan­to un ansio­li­ti­co, sen­za gli effet­ti col­la­te­ra­li. E’ pur sem­pre qual­co­sa, non c’è dub­bio, ma del tut­to tran­si­to­rio, del tut­to “sin­to­ma­ti­co”, esat­ta­men­te come un far­ma­co che ridu­ce o toglie il sin­to­mo sen­za curar­ne la causa.

E que­sto ci por­ta alla vera con­se­guen­za leta­le del­le ridu­zio­ni occi­den­ta­li: l’in­du­zio­ne ad una anco­ra più gra­ve igno­ran­za non solo di quel­lo che si potreb­be rag­giun­ge­re, fat­to di per sé già gra­ve ma anche al com­ple­to oblio di quel­lo che dav­ve­ro potreb­be cam­bia­re non solo la nostra vita ma anche l’e­si­sten­za di tut­ta la civiltà.

Potrem­mo tra­sfor­ma­re que­sto pia­ne­ta in un para­di­so ma ci accon­ten­tia­mo di ten­ta­re di sta­re meglio nel­l’in­fer­no che è.

Ci si vede in giro!

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