Qualche parola sul successo

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Il Suc­ces­so… la mira di tut­ti. Ora, a par­te le faci­li iro­nie (sub-ces­sum, sot­to il ces­so), l’e­ti­mo­lo­gia del ter­mi­ne, par­ti­ci­pio pas­sa­to di “suc­ce­de­re” ovve­ro “veni­re dopo”, “entra­re al posto di altri” ci dice che il “suc­ces­so” è, per defi­ni­zio­ne, qual­co­sa che non ha nul­la a che vede­re con la real­tà quan­to con il suben­tra­re ad essa.

In buo­na sostan­za, sen­za comun­que anda­re a sco­mo­da­re un uso cor­ret­to (ahi­mé, sem­pre più desue­to) del­la lin­gua ita­lia­na, oggi l’i­dea di suc­ces­so impli­ca fon­da­men­tal­men­te tre cose: la noto­rie­tà, il dena­ro, il pote­re (quel­lo mate­ria­le), il che impli­ca… il rico­no­sci­men­to da par­te di altri (in misu­ra e nume­ro deci­sa­men­te ele­va­to) dei pro­pri atti, del­la pro­pria supe­rio­ri­tà, dei pro­pri meriti.

Oggi ave­re suc­ces­so impli­ca che il “pub­bli­co” che ce lo rico­no­sce sia com­po­sto da un nume­ro con­si­sten­te di indi­vi­dui mani­fe­stan­ti la pro­pria appro­va­zio­ne ed il pro­prio rico­no­sci­men­to. Se sei un ido­lo per 20 per­so­ne non sei nes­su­no, se lo sei per 20.000 comin­ci ad esse­re qual­cu­no… e quin­di ad esse­re una per­so­na di suc­ces­so.

Oppu­re se gesti­sci il tuo pic­co­lo capi­ta­le, maga­ri di poche miglia­ia di euro, non sei nes­su­no ma se gesti­sci azien­de con flus­si di cas­sa di deci­ne di milio­ni di euro all’an­no allo­ra sei un mana­ger di suc­ces­so, il cui valo­re è san­ci­to dal­la quan­ti­tà di zeri sul tuo asse­gno mensile.

O anco­ra (ma poi basta per­chè mi pare abba­stan­za), se hai un blog in cui ti leg­go­no in poche deci­ne, allo­ra non esi­sti ma se hai qual­che cen­ti­na­io di miglia­ia di fol­lo­wer su Insta­gram che esul­ta­no e si lan­cia­no in dis­ser­ta­zio­ni di manie­ra ogni vol­ta che met­ti una tua foto allo­ra, di nuo­vo e dav­ve­ro infi­ne, sei una per­so­na di successo.

Tut­ta­via, dato che il rico­no­sci­men­to avvie­ne da par­te dal­l’o­pi­nio­ne altrui e che il nume­ro di que­sti “altrui” deve esse­re rispet­ta­bi­le rispet­to a non si sa bene qua­li para­me­tri, pos­sia­mo ben dire che tale rico­no­sci­men­to non può pre­scin­de­re dal­la mas­sa di per­so­ne che lo mani­fe­sta­no e, dun­que, non può che rica­de­re sot­to l’om­brel­lo del­la comu­ne mora­le, del­la comu­ne per­ce­zio­ne del valo­re di quel suc­ces­so di cui ci si fregia.

Quin­di la ricer­ca del suc­ces­so non è altro che, tan­to per cam­bia­re, l’e­di­zio­ne rive­du­ta e cor­ret­ta in ter­mi­ni moti­va­zio­na­li del­la soli­ta, cele­ber­ri­ma ricer­ca di appro­va­zio­ne da par­te altrui, ovve­ro, quel­la cosa che tut­ti cer­ca­no per­chè, sen­za veder­si rifles­si negli occhi di qual­cun altro, non han­no la ben­ché mini­ma idea di ciò che sono.

Inve­ce di cer­ca­re il suc­ces­so, per­chè non cer­ca­re di rea­liz­za­re sé stes­si nel­la pro­pria vita attua­le? Esse­re ciò che sia­mo, dav­ve­ro, rea­liz­zan­do noi stes­si nel sen­so più pro­fon­do del ter­mi­ne, al di là di que­sto cor­po, desti­na­to a ridur­si in pol­ve­re, di que­sti pen­sie­ri il più del­le vol­te del tut­to ini­qui, auto­ma­ti­ci e incon­clu­den­ti, di que­sti sen­ti­men­ti per lo più doz­zi­na­li e infi­mi, por­tan­do alla luce con­sa­pe­vol­men­te il nostro Esse­re… signi­fi­ca vin­ce­re la mor­te per­chè si trat­ta del­la nostra par­te che non muo­re mai e se riu­scia­mo a rea­liz­zar­la in que­sta vita, nes­su­na mor­te ci atten­de più.

Que­sto per me non è “suc­ces­so” ma ciò che “deve suc­ce­de­re”. Tut­to il resto sono caz­za­te inutili.

Ci si vede in giro!

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