Il mestiere – 1
Era una dolcissima sera di Giugno. La ricordo come fosse ora. Palermo in quella stagione diventa quasi una poesia. L’aria si riempie del profumo dei glicini, e quando il traffico si placa, di solito all’ora dei pasti, diventa così forte da farti quasi sentire ubriaca.
Parcheggiai alla solita rimessa di Via Vittorio Emanuele, due passi fuori dal parcheggio e mi ritrovai in palestra.
“Ciao Jenny” Mi salutò Cinzia, il sorriso ormai fotocopiato che faceva capolino da sopra quelle enormi tette al silicone che si era fatta mettere.
“Ciao Cinz” le risposi. Guai a chiamarla col nome per intero. Si incavolava come una capra.
Colpa del suo ex, andava dicendo, che la chiamava così tutte le volte che le voleva mettere le mani addosso.
Era per quello forse che ero diventata amica sua. Nonostante le tette giunoniche e i bicipiti da peso massimo, tutto merito degli ormoni di cui faceva il pieno praticamente tutte le domeniche, sotto sotto non era altro che una poveraccia, che da poco aveva iniziato a recuperare la sua dignità, dopo tre ricoveri e altrettante denunce nei confronti del suo uomo, ormai ex, appunto.
Ex in tutti i sensi; dopo l’ultima aggressione lei gli aveva pestato una mazza da baseball nelle palle. Ai medici del pronto soccorso non era rimasto altro da fare che recuperare i cocci, tagliare gli avanzi e ricucire.
Passai nella reception, mentre Cinzia faceva scoppiare fragorosamente un’enorme bolla di chewing-gum. Lo scoppio si sentì appena nel silenzio ovattato della moquette posata di fresco, mentre con la tessera facevo aprire il tondino d’ingresso. Mi cambiai in fretta e mi diressi verso la sala spinning. Il corso sarebbe iniziato di lì a pochi minuti.
Erano già tutti lì, i membri del comitato “campionario bestiale”. C’era Marco, secco come un palo della luce, con i suoi ridicoli occhialini pinz-nez. Come al solito mi squadrò con aria torva da sopra le minuscole lenti, ma non disse una parola.
Carola invece mi corse incontro, abbracciandomi. Ricambiai: mi piaceva Carola. Ci eravamo trovate un paio di volte dallo stesso cliente, e al di là della collaborazione professionale, qualcosa c’era comunque stato. Carola era una bionda minuta ma aggraziatissima. E aveva un corpicino tutto pepe. Ci eravamo intese subito, e anche divertite parecchio, tutto a spese del cliente. Quando mi posò il solito bacio sulle labbra percepii chiaramente il livello ormonale alzarsi in impennata; d’altronde erano tutti “machi” lì dentro: Mauro, Fox, Mario, Beppe, persino Elena, la moglie di Fox non era immune dalla tensione sensuale che sempre io e Carola scatenavamo quando ci trovavamo nella stessa stanza. Lei mi salutò con una strizzata d’occhio appena accennata, e mentre si dirigeva verso la sua bici, notai che mi guardava in modo strano, per poi spostare la mira verso un qualche punto alla mia destra. Ebbi un lieve gesto di assenso, mentre mi dirigevo a mia volta allo strumento di tortura, letale ma fondamentale per tenere alte le mie natiche. Avevo capito che mi voleva indicare qualcuno nuovo, ma decisi di attendere qualche istante per buttare lo sguardo sul bersaglio. Se Carola si scaldava voleva dire che era qualcosa di valido. Feci appena in tempo a sistemare il sellino che la voce del trainer si diramò dagli altoparlanti.
“Bene signori e signore, se volete accomodarvi, per stasera ho preparato un programma speciale. Fa caldo, molto caldo, e ne approfitteremo per fare colare via il grasso dai nostri pori…”
Lo odiavo quando usava quelle espressioni. E ancora di più perchè sapevo che avrebbe mantenuto la parola. La lezione prese subito una brutta piega infatti, senza il solito warmup. Dopo meno di due minuti le casse pompavano tutti e mille i watt dell’impianto, e contemporaneamente il mio cuore tutti e 170 i battiti di cui era capace. Il sudore, la fatica e lo sforzo mi fecero dimenticare il suggerimento di Carola, fino quasi alla fine del turno, quando per sua grazia il trainer Federico decise di introdurre un’ultima fase di defaticamento, e io voltai la testa, quasi per caso.
Credo fu quella la volta che sperimentai la mia prima extrasistole. Appena sudato, un corpo scolpito da chissà quale attività fisica, pedalava tranquillo sulla sua bici una specie di dio greco. I capelli biondi e ricci, lunghi ma non troppo. La carnagione abbronzata di chi passa molto tempo all’aria aperta, ma anche completamente rivestito da capi da allenamento firmati e di gran qualità. Mi prese subito un’insana curiosità per le mani. Erano quelle, più di tutto il resto, le cose che mi davano la misura di un uomo. Insieme agli occhi, e naturalmente alle reni, quella particolare regione lombare che ti può dare l’esatta idea della capacità di spinta di un maschio. Mi sentii osservata, e intuii prima ancora di vederlo, il sorriso beffardo di Carola. Mi alzai dritta sulla sella, e fingendo di sistemarmi i capelli, presi due piccioni con una fava. Alla mia destra notai con la coda dell’occhio che l’adone non si lasciava mancare un lungo sguardo alla mia terza abbondante, mentre alla mia sinistra Carola quasi cadeva dalla bici, notando il mio medio sinistro alzato dritto verso di lei, ma occultato dalla mia testa.
Ridiscesi immediatamente sul manubrio. Le tette erano importanti, ma anche i capelli, che ora mi erano ricaduti sulla spalla facevano la loro parte. Con quello che spendevo di parrucchiere d’altronde non poteva essere diversamente. Erano castano scuro d’inverno, ma con l’arrivo dell’estate si schiarivano naturalmente, e io li aiutavo con dei colpi di sole particolari, che solo Bobo, il gran maestro di Charme & Chic in Piazza Pretoria, distribuiva con la centellinazione di un Somellier di prima classe.
Adone mi gratificò di uno sguardo un poco più lungo del dovuto. E come si aspettava che accadesse, io lo ignorai. Ma non così la mia vista periferica. Notai che aveva un naso aquilino ma aristocratico, una mascella forte e le labbra più carnose che avessi mai visto.
“Piano, Bri” mi dissi, parlandomi in terza persona, un trucco che mi calmava sempre “non hai ancora deciso se questo è il cliente della tua vita o un GiPPilwe, Giocattolo Perfetto Per Il Week End”
La lezione finì in quel momento, e io mi misi immediatamente addosso la giacca della tuta. Adone aveva già visto troppo per quella sera. Sciamammo fuori dalla sala, in crisi di astinenza da liquidi. Alla mia destra Carola che faceva finta di nulla. Alle mie spalle Adone, che quasi mi faceva scottare la nuca.
Poco più tardi, sotto il getto ristoratore, non potei trattenermi:
“Dio Mio! Ma chi è quello… quello…”
“Quel dio in terra intendi forse?” Mi fece eco Carola ridendo nel box accanto “Non ne ho idea. E’ spuntato ieri alla lezione di Kick Boxing”
“Anche quelle fa? E come se la cava?”
“Benissimo, te lo assicuro. Ha fatto un combattimento libero con Massimo, e lo ha messo all’angolo in un minuto”
Rimasi di stucco. Massimo era cintura nera, terzo dan di karate, e si era classificato diverse volte primo agli europei. Non era facile metterlo in difficoltà.
“Sai qualcosa di lui?”
“Solo che si chiama Renato”
Chiusi l’acqua e uscii dalla doccia, avvolgendomi i capelli con l’asciugamano a mo’ di turbante. Carola sbucò contemporaneamente. La vista del suo corpo supertonico mi fece il solito effetto.
“Te l’ho mai detto che sei stupenda?”
Lei abbassò gli occhi. Riusciva ancora ad arrossire.
“Si, e mi piace come lo dici, tutte le volte che lo dici!”
Ci eravamo arrivate di nuovo. Nessuna delle due era lesbo, gli uomini erano sia il nostro hobby che il nostro lavoro. Ma dopo quell’incontro casuale si era creato qualcosa di speciale. Lo volessimo o no, l’attrazione era innegabile, e anche molto forte. C’era troppo pubblico però in quel momento, e con fatica ci distaccammo. E poi c’era Renato, di cui parlare.
“Secondo me fa il bodyguard o qualcosa del genere” disse Carola “E’ troppo allenato”
“Gli hai guardato le mani?” La mia vecchia teoria.
“Si, non sono mani da scrivania, ma nemmeno da contadino. Sono curate ma è evidente che le usa parecchio. Potresti anche avere ragione. Anche per come si muove…”
Non la guardai, ma il mio pensiero dovette essere cristallino.
“Accidenti Bri. Tu sei già partita. ”
Le sorrisi di rimando.
“Non ho ancora deciso se GiPPilwe o lavoro.”
“Lo scopriremo presto” chiuse Carola dandosi un colpo di rossetto sulle labbra piene. “Devo andare. Il lavoro chiama…”
“Cribbio! Tre in una settimana! Ma li vuoi guadagnare tutti tu?” Le dissi ridendo. Lei fece una smorfia deliziosa e uscì salutandomi con la mano. In effetti per le nostre tariffe due incontri alla settimana erano più che sufficienti. Non erano tanti a potersi permettere il nostro servizio. Non a 1.200 euro a prestazione. Cotillons esclusi, naturalmente.
Finii di asciugarmi i capelli ed uscii. Ripassai per la reception, notando che il profumo di Carola aleggiava ancora nell’aria. Salutai Cinzia e mi diressi verso il parcheggio. Nella strada stranamente deserta, ci volle poco ad udire i passi di qualcuno alle mie spalle. Senza pensarci due volte tuffai la mano nella borsetta e afferrai saldamente il coltello che portavo sempre con me. Quindici centimetri di lama affilata non erano forse un granchè, ma avevo avuto un buon istruttore, e sapevo come usarli. Però in quel momento non provai la solita sensazione di sicurezza che normalmente mi dava il contatto con quell’arma, e mi trovai mio malgrado a sentire lo sgradevole sapore della paura, che mi si mescolava in bocca con la saliva. Istintivamente allungai il passo. Fu un errore: dietro di me chiunque fosse allungò a sua volta. Stavo per mettermi a correre, quando sentii una voce calma e quasi divertita apostrofarmi alle spalle.
“Ehi, rilassati! Non ti sto seguendo. Ho la macchina anch’io al garage… ” Non so come ma capii che non poteva che essere Renato alle mie spalle. L’ansia mi scivolò via come acqua sulla plastica, lasciandomi appena un po’ di gambe molli. Rallentai voltandomi. Era proprio lui.
“Cristo! Mi hai fatto prendere un accidenti!” Sfogai. Renato mi si avvicinò. Indossava un completo grigio chiaro di Armani, e sembrava appena uscito dalla stireria, nonostante l’ora tarda e l’allenamento massacrante. Era maledettamente affascinante.
“Mi dispiace, non era mia intenzione…”
Mi trovai a tendergli la mano senza neanche pensarci:
“Britannia, ma puoi chiamarmi Bri, come tutti” La sua mano era calda e asciutta. Nessuna traccia di traspirazione o tremore da sforzo.
“Renato. Molto piacere Bri!”
Proseguimmo nell’entrata del parcheggio. Pagammo alla cassa automatica e ci dirigemmo verso l’ascensore.
“A che piano hai la macchina Bri?”
“Terzo, e tu? ”
“Anch’io” rispose Renato. Schiacciai i pulsanti dell’ascensore, e rimasi lì, senza sapere cosa dire. Dopo pochi secondi ero imbarazzata come un’adolescente, mentre lui mi fissava, con l’aria di chi non ha nulla da dire e gli va bene così. Aveva dei bellissimi occhi castano chiaro, di quel colore cangiante che schiarisce al sole. Non potei fare a meno di fissarlo. Era alto: arrivavo a malapena all’altezza del suo cuore. Di colpo mi accorsi che se quell’uomo avesse avuto qualsiasi intenzione di nuocermi, io non avrei avuto la minima possibilità di difesa. Lui sembrò leggermi nel pensiero, perchè ebbe un lieve sorriso, che lo fece però assomigliare ad un lupo. Erano passati meno di dieci secondi in quell’ascensore, e già mi accorsi che la situazione mi stava eccitando, oltre che spaventarmi.
Quando la cabina arrivò al piano senza che fosse accaduto nulla provai una piccola fitta di delusione, contemporanea a sollievo. Lui fece un gesto molto galante, e io sgattaiolai fuori dall’ascensore.
“Qual’è la tua?” mi chiese. Per tutta risposta tirai fuori le chiavi dalla borsetta e diedi un colpetto al telecomando. L’Audi TT fece lampeggiare le luci di direzione, quasi lo scodinzolio di un cagnolino che faccia le feste.
“Complimenti! Bel giocattolo.”
“Grazie” risposi “Beh, buona serata”
“Anche a te, Bri” rispose Renato con un calore sconosciuto nella voce. Esitò un attimo, durante il quale io fui certa che stava per baciarmi, poi si voltò e si diresse verso una BMW M3 a pochi metri. L’impressione che mi diede fu quella di essere stata improvvisamente cancellata dalla sua mente. E la cosa mi diede parecchio fastidio, mentre mi dirigevo a mia volta verso l’auto. Stavo per aprire la portiera quando mi accorsi che qualcosa non andava. Il motore. Non aveva avviato il motore. Mi voltai per guardare cosa stesse facendo e me lo trovai di fronte. Torreggiava su di me, fissandomi con uno sguardo serissimo. Ancora oggi non saprei dire cosa accadde in quel momento. Forse fu il caldo, o forse l’aura particolare di cui quell’uomo sembrava circondato; comunque quando mi mise una mano dietro il collo e mi attirò a sè non riuscii ad oppormi.
- CONTINUA -
CHE MINCHIA …DICI !!!
Appunto.