Che bello! Per una volta un giornalista che ne sputtana un altro! Leggete questo articolo su “il Giornale”.
Racconta di come la notizia che qualche giorno fa ha imperversato sufficientemente sulla stampa italiana, sia quasi completamente inventata, ricostruita sul falso.
Quella del barbone pestato a sangue dal figlio illegittimo e frustrato, bla bla… L’unica cosa vera della notizia infatti è il pestaggio del barbone. Tutto il resto pare sia stato inventato di sana pianta dal giornalista redattore, per una propria libidine personale di apparire.
Mi sono sempre chiesto quale fosse la molla che spinge certi pennaioli a scrivere cazzate talmente evidentemente tali da scadere nel ridicolo. Adesso, grazie a questo articolo ho capito, vera o no la storia che vi si racconta.
Una volta in più è quella cosa chiamata “riconoscimento”.
Provate ad immaginare che un giorno, senza motivo alcuno, improvvisamente nessuno più si accorga della vostra presenza. Quando parlate nessuno da’ l’impressione nemmeno di sentirvi. Nessuno vi vede, il telefono squilla sempre a vuoto; insomma, per gli altri esseri umani non esistete.
Quanto tempo ci mettete ad impazzire? Poco, credo.
Questo perchè il bisogno di essere riconosciuti dagli altri è uno di quei bisogni psicologici fondamentali, che pur non appartenendo alla categoria di quelli irrinunciabili, come quello di respirare e di nutrirsi, non sono facilmente estirpabili dalla psiche umana.
Il problema è che questi bisogni generano quella che viene definita spesso identificazione, ovvero l’immedesimarsi completamente, con conseguente completa perdita di se stessi, nell’oggetto del desiderio (o del bisogno).
Il giornalista può essere un esempio perfetto per questo: il suo lavoro è quello di scrivere per portare a conoscenza del pubblico ciò che avviene.
Tuttavia, quando scrive molto bene, o a seguito di uno scoop, arriva a volte la fama, e con essa ricchezza, potere e il fatto che la gente lo ascolta.
Io credo che questo possa diventare una sorta di droga; più se ne ha più se ne vorrebbe, meno se ne ha, più credo si sia disposti a fare carte false per averne.
Da come viene scritto nell’articolo menzionato, credo cha a molti accada ciò, e pur di ottenere l’apertura della prima pagina sarebbero disposti a tutto.
Anche, come forse in questo caso, ad inventare di sana pianta.
Il che ci riporta dritti dritti ad un concetto di responsabilità. La maggior parte dei giornalisti oggi ha perso di vista la responsabilità che ha nei confronti di chi legge i loro articoli.
Questo fatto potrebbe non essere così negativo come sembra.
Grazie a “contro articoli” come questo infatti (magari ce ne fosse ogni tanto qualcuno in più), forse le persone impareranno che sui giornali non c’è scritta quasi mai la verità, quella dei fatti quantomeno, ma un’interpretazione, la cui aderenza alla realtà purtroppo dipende spesso da fattori estremamente materiali, quali la ricerca della fama, della notorietà, e del denaro.
Sarebbe meglio che la gente imparasse a non accettare supinamente tutte le cazzate che vengono quotidianamente propinate da certa stampucola.
Se le persone imparassero a collegare il cervello, certi articoli non avrebbero l’audience che hanno, così come i programmi assurdi che vanno per la maggiore, cazzate come i cosiddetti “reality” che di reale non hanno quasi nulla, o le trasmissioni alla De Filippi, che non fanno altro che portare sullo schermo il lato più misero e meschino dell’italiano medio.
Alla fine insomma, la responsabilità non è tanto di chi scrive secondo me, quanto di chi legge, quando facendolo in modo non intelligente consente alla menzogna di assumere un ruolo ancora più dominante nella propria vita, di quanto già non faccia.
Tag Technorati: Notizie false, giornalismo
Come un giornalista può inventarsi le notizie: il caso del barbone massacrato dal figlio illegittimo
Che bello! Per una volta un giornalista che ne sputtana un altro! Leggete questo articolo su “il Giornale”.
Racconta di come la notizia che qualche giorno fa ha imperversato sufficientemente sulla stampa italiana, sia quasi completamente inventata, ricostruita sul falso.
Quella del barbone pestato a sangue dal figlio illegittimo e frustrato, bla bla… L’unica cosa vera della notizia infatti è il pestaggio del barbone. Tutto il resto pare sia stato inventato di sana pianta dal giornalista redattore, per una propria libidine personale di apparire.
Mi sono sempre chiesto quale fosse la molla che spinge certi pennaioli a scrivere cazzate talmente evidentemente tali da scadere nel ridicolo. Adesso, grazie a questo articolo ho capito, vera o no la storia che vi si racconta.
Una volta in più è quella cosa chiamata “riconoscimento”.
Provate ad immaginare che un giorno, senza motivo alcuno, improvvisamente nessuno più si accorga della vostra presenza. Quando parlate nessuno da’ l’impressione nemmeno di sentirvi. Nessuno vi vede, il telefono squilla sempre a vuoto; insomma, per gli altri esseri umani non esistete.
Quanto tempo ci mettete ad impazzire? Poco, credo.
Questo perchè il bisogno di essere riconosciuti dagli altri è uno di quei bisogni psicologici fondamentali, che pur non appartenendo alla categoria di quelli irrinunciabili, come quello di respirare e di nutrirsi, non sono facilmente estirpabili dalla psiche umana.
Il problema è che questi bisogni generano quella che viene definita spesso identificazione, ovvero l’immedesimarsi completamente, con conseguente completa perdita di se stessi, nell’oggetto del desiderio (o del bisogno).
Il giornalista può essere un esempio perfetto per questo: il suo lavoro è quello di scrivere per portare a conoscenza del pubblico ciò che avviene.
Tuttavia, quando scrive molto bene, o a seguito di uno scoop, arriva a volte la fama, e con essa ricchezza, potere e il fatto che la gente lo ascolta.
Io credo che questo possa diventare una sorta di droga; più se ne ha più se ne vorrebbe, meno se ne ha, più credo si sia disposti a fare carte false per averne.
Da come viene scritto nell’articolo menzionato, credo cha a molti accada ciò, e pur di ottenere l’apertura della prima pagina sarebbero disposti a tutto.
Anche, come forse in questo caso, ad inventare di sana pianta.
Il che ci riporta dritti dritti ad un concetto di responsabilità. La maggior parte dei giornalisti oggi ha perso di vista la responsabilità che ha nei confronti di chi legge i loro articoli.
Questo fatto potrebbe non essere così negativo come sembra.
Grazie a “contro articoli” come questo infatti (magari ce ne fosse ogni tanto qualcuno in più), forse le persone impareranno che sui giornali non c’è scritta quasi mai la verità, quella dei fatti quantomeno, ma un’interpretazione, la cui aderenza alla realtà purtroppo dipende spesso da fattori estremamente materiali, quali la ricerca della fama, della notorietà, e del denaro.
Sarebbe meglio che la gente imparasse a non accettare supinamente tutte le cazzate che vengono quotidianamente propinate da certa stampucola.
Se le persone imparassero a collegare il cervello, certi articoli non avrebbero l’audience che hanno, così come i programmi assurdi che vanno per la maggiore, cazzate come i cosiddetti “reality” che di reale non hanno quasi nulla, o le trasmissioni alla De Filippi, che non fanno altro che portare sullo schermo il lato più misero e meschino dell’italiano medio.
Alla fine insomma, la responsabilità non è tanto di chi scrive secondo me, quanto di chi legge, quando facendolo in modo non intelligente consente alla menzogna di assumere un ruolo ancora più dominante nella propria vita, di quanto già non faccia.
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