Omofobia e disciplina di partito
Ieri è stato bocciato alla camera il provvedimento sull’omofobia. L’onorevole Binetti, membro del partito democratico, che per le sue convinzioni religiose ha un orientamento molto conservatore per quanto riguarda i temi etici, ha votato insieme al centro destra per affossare la legge, scatenando all’interno del suo partito, come si legge su Repubblica, una forte polemica essendo lei venuta meno alla cosiddetta “disciplina di partito”.
Trovo che questo sia profondamente sbagliato e antilibertario. Ogni parlamentare dovrebbe essere libero di votare come desidera, senza che questo scateni particolari polemiche, tanto meno legate ad una fantomatica disciplina che suona tanto come una tentativo di uniformare le idee e le opinioni, evitando il confronto e la libera espressione.
Il problema è che i nostri parlamentari non sono eletti direttamente dal popolo ma nominati dalle segreterie di partito in base ad equilibri politici legati spesso ad interessi particolari che poco hanno a che fare con la rappresentatività.
Anche negli anni scorsi, quando abbiamo avuto la possibilità di eleggere direttamente i parlamentari con i collegi uninominali, aboliti dal precedente governo Berlusconi prima delle elezioni del 2006 (anche questa, una delle tante “riforme” fatte solo per convenienza), la situazione non era sostanzialmente molto diversa. I candidati dei vari collegi erano spesso persone che non avevano nulla a che vedere con il territorio in cui erano candidati e che di solito venivano elette solo per la loro appartenenza politica.
Le ideologie sono cadute da tempo ormai ma psicologicamente abbiamo ancora bisogno di identificarci in qualcuno o in un simbolo. Se non si è eletti per ciò che si è e si pensa, ma solamente per la corrente politica a cui si appartiene, è inevitabile che si inneschino polemiche quando qualcuno osa uscire dal coro.
Non è necessario abolire i partiti, rappresentano una struttura organizzativa utile, ma è il nostro rapporto con i rappresentati in parlamento che deve cambiare.
La legge dovrebbe far si che gli eletti siano solo persone legate al territorio in cui sono candidati, in cui hanno per esempio la residenza da almeno 5–10 anni. Dovrebbero essere loro in prima persona ad impegnarsi nella campagna elettorale locale, per farsi conoscere e confrontare con la collettività locale le proprie idee, mettendo in secondo piano l’appartenenza ad un particolare corrente politica. In questo modo essi risponderebbero principalmente ai loro elettori e non solo agli interessi di pochi dirigenti di partito che devono difendere il loro prestigio personale tra mille compromessi.
Bisogna comprendere che non ci servono uomini della provvidenza a cui affidarci per la risoluzione di tutti i nostri problemi, comportandoci come pecore al loro seguito e affidando loro tutta la responsabilità. La storia ci ha mostrato le conseguenze negative che le ideologie hanno sempre portato, anche se spinte inizialmente da buone intenzioni.
È giunto il momento di essere più responsabili, sia singolarmente che come collettività.
Ben detto, Franz!
Caso mai “Ben detto, Ilia” l’articolo è suo.
Perfettamente d’accordo con Franz.
Anche se, visto l’argomento scatenante di tutta la discussione, non posso esimermi dal dire “Binetti MA VAFFANCULO”.
Che poi, se ci pensi, il fatto che la Binetti sia nel PD è proprio figlio del fatto che le canditature non siano rappresentative.
Perfettamente d’accordo con Sciuscia :beer:
Un attimo di disattenzione, scusa Ilia e…ben detto!
il solito pasticcio in salsa PD: e il paradosso è che per affossare la legge contro l’omofobia ci si richiama alla costituzione
La bocciatura della legge sull’omofobia ripropone nel PD i tormenti sulle strategie politiche