Dalle nebbie del tempo: un movimento dentro l’altro

La neb­bia di oggi, ori­gi­na­ria­men­te posta­ta nel Luglio 2009

Un movimento dentro l’altro. Una storia vera.

Pub­bli­ca­to ori­gi­na­ria­men­te il: 05/07/09.

Pote­te ascol­ta­re o sca­ri­ca­re il pod­ca­st diret­ta­men­te qui sotto

“Un movi­men­to den­tro l’altro”.

Que­sto mi dis­se allo­ra il minu­sco­lo (fisi­ca­men­te) Tada Hiro­shi, men­tre cer­ca­vo inu­til­men­te di pro­iet­tar­lo in una tec­ni­ca chia­ma­ta “Ude­ki­me­na­ge”.

Dif­fi­ci­le per un ragaz­zi­no capi­re cosa inten­des­se quel dan­na­to giap­po­ne­si­no, eppu­re la dif­fe­ren­za tra i suoi movi­men­ti e i miei non era dif­fi­ci­le da coglie­re; più o meno la stes­sa che si può tro­va­re tra quel­li di un pape­ro e quel­li di Nureyev. 

Qua­le che fos­se il segre­to, allo­ra mi sfuggiva.

Esi­ste un “Tai Saba­ki”, un pas­so di base, nel­l’ai­ki­do che con­si­ste nel fare un pas­so avan­ti con un pie­de e usar­lo come per­no per girar­gli attor­no con l’al­tro, come un com­pas­so. Una stron­za­ta di movi­men­to che però, guar­da caso, ti fa sem­bra­re appun­to un pape­ro fino a che non tro­vi un equi­li­brio. Si chia­ma Iri­mi Ten Kan. 

Un gior­no ero nel dojo di Roma che mi eser­ci­ta­vo in quel male­fi­co movi­men­to. Non riu­sci­vo mai ad arri­va­re alla fine con il con­trol­lo che richie­de que­sto pas­so e la cosa mi pro­cu­ra­va non poca incaz­za­tu­ra, anche per­chè lo stes­so è un pas­so di base in qua­si tut­te le tec­ni­che di Aiki­do e fare un erro­re in quel­lo signi­fi­ca sba­glia­re tut­te le tec­ni­che che lo contengono.

Insom­ma, per far­la bre­ve, ero lì che sma­don­na­vo den­tro di me, quan­do improv­vi­sa­men­te una par­te del mio cer­vel­lo del tut­to fuo­ri con­trol­lo mi sus­sur­rò all’orecchio:

Iri­mi Ten Kan uni­sce il cie­lo con la terra

Sen­tii qual­co­sa scio­glier­si al mio inter­no, come se del cioc­co­la­to cal­do sci­vo­las­se via dal­la mia pel­le. Il suc­ces­si­vo Iri­mi Ten Kan mi vide atter­ra­re sul pie­de fina­le con un equi­li­brio per­fet­to. Mi sen­ti­vo come se nep­pu­re un rino­ce­ron­te in cor­sa avreb­be potu­to spostarmi. 

Kokyu nageRipe­tei quel pas­so cen­ti­na­ia di vol­te e ad ogni rota­zio­ne quel­la fra­se mi lam­peg­gia­va da sola nel cer­vel­lo: Uni­sce il cie­lo con la terra. 

Ini­ziai a sen­tir­mi leg­ge­ro, gio­io­so, men­tre una for­te sen­sa­zio­ne di calo­re si allar­ga­va dal cuo­re per dif­fon­der­si a tut­to il cor­po. Ad un cer­to pun­to mi accor­si che c’e­ra qual­co­sa di stra­no. Mi guar­dai attor­no: era sce­so il buio nel dojo: ero anda­to avan­ti tut­to il gior­no in quel movi­men­to. Ave­vo appun­ta­men­to a cena pro­prio con Tada e non è una di quel­le occa­sio­ni a cui puoi aver voglia di man­ca­re, così mi pre­ci­pi­tai sot­to la doc­cia e andai al risto­ran­te di corsa.

Tada era in pie­di davan­ti alla piz­ze­ria che mi aspet­ta­va. Quan­do mi vide però, inve­ce di bestem­mia­re com’e­ra suo soli­to con i ritar­da­ta­ri, mi guar­dò fis­so negli occhi.

“Tu sco­per­to qual­co­sa oggi!” (par­la­va un ita­lia­no sten­ta­to e i ver­bi non era­no il suo forte)

Poi sen­za esi­ta­zio­ne si arram­pi­cò sul­la 127 dicen­do solo:

“Vie­ni. Noi tor­na Dojo!” Nien­te da fare, par­la­va pro­prio come Mia­ji in Kara­te Kid, e sem­bra­va anche diver­tir­si nel far­lo.

Die­ci minu­ti dopo era­va­mo nel Dojo io e lui. Alcu­ne appli­que alle pare­ti dira­da­va­no appe­na le ombre sul tatami.

“Io sa cosa tu sco­per­to. Pro­via­mo tec­ni­che di proiezione”

Rima­si basi­to. Ave­vo alle­na­to solo quel par­ti­co­la­re pas­so tut­to il gior­no, non altro. Glie­lo dis­si, ma lui per tut­ta rispo­sta mi si avvi­ci­nò con quel suo pas­so che sem­bra­va in qual­che modo pla­na­re sul ter­re­no e mi pre­se deli­ca­ta­men­te un polso.

“Pro­va” dis­se solo.

E io pro­vai. La tec­ni­ca riu­scì per­fet­ta­men­te e lui se ne volò via come il fuscel­lo di uomo che era. Ese­guì un’ele­gan­te quan­to silen­zio­sa cadu­ta in avan­ti (si sen­tì a mala­pe­na il fru­scia­re del­l’­ha­ka­ma sul tata­mi) e poi tor­nò all’at­tac­co, con più velo­ci­tà que­sta vol­ta.

Anco­ra lo pro­iet­tai e anco­ra lui tor­nò all’attacco.

Andam­mo avan­ti così per un po’, lui che cam­bia­va attac­co e io che cam­bia­vo pro­ie­zio­ne. Poi, anco­ra una vol­ta, accad­de qual­co­sa che anco­ra oggi dif­f­cil­men­te potrei spie­ga­re. Ad un cer­to pun­to si sta­bi­lì un rit­mo nei nostri movimenti.

Nulla di rego­la­re ma era indi­scu­ti­bil­men­te un ritmo. 

E la tec­ni­ca ces­sò di esse­re tale.

Rima­se solo movi­men­to. Un movi­men­to den­tro l’altro.

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Pirata

Mol­to interessante!