Non si può sparire dal sistema… o si?
E’ praticamente impossibile, nei paesi occidentali industrializzati, riuscire a sparire dal sistema. Si potrebbe pensare di non utilizzare i social network, di usare la rete esclusivamente come spettatori.
A parte il fatto che è piuttosto difficile, sempre che siate in età lavorativa e cittadini del mondo, non lasciare tracce digitali della propria esistenza, non è nemmeno così semplice come politica; a meno di non essere in una particolare nicchia socioeconomica, qualche traccia di noi rimane sempre.
Ma anche così, la rete vigila comunque e, soprattutto, assorbe. Ergo, anche se voi non parlate di voi, non siete iscritti ad alcun social network, non usate l’email e per qualche strano sortilegio riuscite ad essere invisibili al 100% dal punto di vista del network… questo non può valere per chi vi frequenta. A meno che non viviate in qualche comunità isolata dal mondo o di particolari usanze, infatti, qualcuno di coloro che frequentate è sicuramente presente sulla rete, in qualche modo.
Quindi non è realmente possibile sfuggire alla catalogazione, all’indagine ed alla parametrizzazione (in gergo “profilazione”) della vostra persona. In un modo o nell’altro, qualcuno che parlerà di voi o di quello che fate, prima o poi ci sarà. E da quel momento in poi, la vostra esistenza “digitale” avrà inizio.
Il problema è che, in questo caso, non sarà possibile avere alcun controllo su quello che la rete verrà a conoscere della vostra persona e, di conseguenza, chiunque potrà dire qualunque cosa e la rete la presenterà insieme a tutto il resto.
Quindi, come fare?
Ci viene in aiuto, in questo caso, il primo teorema assoluto, padre di tutti gli altri, della teoria dell’informazione che recita testualmente:
“Troppa informazione uguale nessuna informazione”.
La soluzione alla questione sta proprio in queste cinque parole. In sintesi, non potendo sperare che la nostra figura rimanga non scoperta, nascosta e invisibile, l’unico sistema per sfuggire alla profilazione è quello di inondare letteralmente la rete di informazioni su di noi, sulle quali ovviamente, avendole diffuse proprio noi, abbiamo una sorta di controllo.
Al proposito esistono due modalità di intervento; la prima è la cortina fumogena: non vogliamo proprio far capire i nostri gusti, le nostre abitudini, il nostro pensiero. Occorre allora adottare un comportamento erratico nella navigazione, ad esempio, per cui per ogni cosa che andiamo a cercare o consultare in rete, ne andiamo a cercare altre dieci di cui non ci importa nulla e che non hanno nulla a che vedere con la nostra vera ricerca. Questo non funziona a lungo termine, perchè comunque il nostro IP o qualche altro marker (come i cookie, ad esempio), prima o poi potrano a galla le nostre abitudini, anche solo da un punto di vista statisticamente grossolano. In questo caso, è utile quindi pulire spesso la cache del browser, non usare Chrome per navigare e effettuare le ricerche su diversi motori di ricerca ogni volta.
Ma al di là di questo, che è comunque un trucco efficace, dobbiamo dedicarci al Web in modo intelligente.
Quindi, utilizzando il nostro account facebook, ad esempio, loggarci e registrarci su siti che non sono pertinenti alla nostra identità, che non trattano di cose cui siamo realmente interessati e, di tanto in tanto, interagire con essi.
L’informazione complessa che ne deriva, se resa abbastanza eterogenea, potrà dare del filo da torcere a chi volesse cercare di profilarci in modo corretto.
La seconda modalità, che poi è l’unica efficace dal punto di vista pratico, è però qualcosa che richiede una certa attività e proattività. Qui infatti non cerchiamo più di sfuggire alla profilazione automatica, ma di fare in modo che chiunque cerchi informazioni su di noi abbia la massima probabilità di finire sulle informazioni su cui noi vogliamo che vada a finire.
Questo consente di avere un certo grado di controllo sulla propria immagine, in modo che chiunque altro parli di noi non risulti in evidenza e, per questo motivo, sia difficile da “ascoltare”.
Si tratta del vecchio trucco di urlare a voce più alta di tutti gli altri, solo in versione digitale.
Parlando di noi stessi, nei termini che desideriamo (attenzione che non sto dicendo di mentire sulla propria identità, ma esattamente il contrario), più di tutti gli altri, arriveremo a garantirci che qualunque ricerca sulla nostra persona atterri sulle nostre parole e non su quelle di qualcun altro che, magari, parla di noi a sproposito.
In questo caso quindi, ripeto, non si tratta di mentire su se’ stessi ma di dire semplicemente solo quelle cose che vogliamo siano pubbliche, in modo che tutto quello che invece vogliamo sia riservato… rimanga tale.
Si tratta ovviamente di scrivere, di parlare: in una parola di esprimersi in qualche modo. Per qualunque motore di ricerca, almeno allo stato attuale delle cose, ciascuno di noi è la fonte di notizie più importante su sè stesso e quindi, per un po’, almeno sulla rete, quello che diciamo su noi stessi riveste maggior affidabilità di ciò che dicono gli altri.
Qanto detto finora non è ovviamente tutto quello che si può fare, e nemmeno la parte più pratica e dettagliata. Ritengo però che sia sufficiente per dare un’idea, uno spunto, per tutti coloro che pensano che tacendo su se’ stessi si possa rimanere invisibili alla rete.
Sappiate che non è così: rimanere invisibili alla rete è praticamente impossibile, anche scomparendo fisicamente dal Pianeta Terra. Tanto vale quindi prendere il toro per le corna e costringere la rete a dire quello che vogliamo noi.
Non è semplice, ne’ tantomeno immediato, ma si può fare.
Parola di lupetto!
Grazie mille Franz, parole molto utili. :snapshot: