Il pericolo del gruppo: impedirsi di realizzare qualcosa

John Brunner, nel lontano 1964, descriveva nel suo romanzo The Whole Man (titolo italiano: Il telepatico) un futuro in cui molti esseri umani manifestano doti telepatiche più o meno forti.

In questo stupenda opera, finalista del premio Hugo l’anno successivo, il protagonista è spesso chiamato ad operare psicologicamente su individui con turbe e problemi psichici vari ma, essendo il telepatico più forte del pianeta, ha come sua specialità quella di intervernire per dissolvere i cosiddetti “gruppi catapatici“, ovvero insiemi di persone che, sotto l’influenza di un telepatico forte ma patologico, si rinchiudono in un mondo di sogno creato da quest’ultimo, cadendo in catalessi fino a morire di quello stesso sogno.

Nella vita, la dinamica di gruppo a volte ricalca questa architettura, e gruppi di persone, anche numerosi, si ritrovano a vivere una realtà del tutto sognata, creata da qualche personalità dominante ma problematica quando non consapevolmente maligna. Non c’è il pericolo della catalessi, ovviamente e neppure quello della morte, ma c’è quello di ritrovarsi alla fine di una vita e scoprire di non averla affatto realizzata, di non averla vissuta, di non aver combinato nulla, se non dare sostegno e nutrimento materiale e psicologico al “telepatico dominante”, che può essere un individuo ma anche un gruppo di persone.

Una morte interiore, quanto meno, oltre che sociale ed evolutiva.

Non succede solo nelle sette (casi emblematici sono quelli della Aum Shinrikyo  giapponese o della People Temple, culminato con il suicidio di massa di quasi mille persone nel 1978), ma anche nelle religioni, nella politica e nel mondo del lavoro.

L’uomo è un animale sociale, DEVE interagire e condividere. Ma per fare entrambe queste cose deve innanzitutto essere un individuo. Senza individualità si finisce semplcemente, come accade in questi casi, per abdicare quel poco di sè che esiste ad una personalità più forte, ad un individuo senza scrupoli o fortemente malato, oppure ad un gruppo di potere, trasferendo ad essi tutte le proprie risorse, materiali e non.

Quando Gurdjieff parlava di “cibo per la luna” intendeva anche questo: essere cibo per chi, per quanto a sua volta altrettanto alimento per qualcun altro, si trova su un gradino più alto della scala socioalimentare.

Trovarsi in queste condizioni, se non ci si sveglia ad un certo punto, può significare il trovarsi alla fine della propria vita nelle stesse condizioni in cui si trovano quasi tutti: ovvero voltarsi indietro e scoprire che non solo non si è realizzato nulla di materiale, ma neppure di interiore, qualcosa che ci permetta di non morire o che quantomeno ci abbia spinto un po’ più in là verso una qualsiasi verità.

Se tutte le tue energie vanno ad alimentare qualcun altro e tu non cresci, non crei e non realizzi, stai sbagliando qualcosa. Un errore letale che si può davvero pagare caro: spesso, il prezzo di un’intera vita buttata nello scarico del cesso.

L’individualità ad un certo punto va abbandonata. Perde significato di pari passo con l’ego che perde predominanza. L’impersonalità è indubbiamente l’indirizzo corretto e naturale di una crescita, ma abbandonare la propria individualità prima di averla creata è come immaginare di aver costruito una casa e a metà dei lavori lasciare anche l’immaginazione per un’altra, andando in giro a dire che avevamo qualcosa di meglio da fare: in realtà non solo non abbiamo nulla di meglio da fare ma non abbiamo proprio fatto nulla; abbiamo solo sognato, intanto che le nostre risorse andavano a fornire energia e possibilità a qualcun altro che invece ha costruito un palazzo.

Per non parlare di quanto rinunciare a sé stessi prima di aver davvero compreso a cosa si rinuncia non sia affatto una scelta ma una completa fuga dalla realtà e dalle proprie personali responsabilità che esistono sempre, a prescindere dalla realizzazione.

E’ vero, la vita è una e così l’energia. Alla fine tutto non può che essere uno. Ma in questo mondo in cui la separazione è il fattore dominante, bisogna prima arrivare al massimo dell’individualità per comprendere davvero l’unità che ci sta dietro, altrimenti sono solo grandi, macroscopiche balle che ci raccontiamo per non pagar dazio!

Si può scegliere di dedicare sé stessi ad un ideale, magari incarnato da un essere umano o da un gruppo, partito o fondazione. Ma se non esisti, non stai dedicando nulla di tua volontà: stai semplicemente rinunciando a realizzare te stesso perchè qualcuno non ti sta lasciando altra scelta.

E’ questo il vero delitto, l’autentico crimine, sia dalla parte di chi impedisce che da quella di chi subisce.

Ed è un delitto che, prima o poi, per quanto in alto si sia nella catena alimentare, non si può non pagare.

Anzi: più sei in alto e più paghi!

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