Quando si parla di dignità (come del resto di molte altre qualità raramente esplorate), il rischio di fare confusione diventa massimo. Non tanto per la cosa in sé, per definizione assiomatica, come vedremo più avanti, quanto per i limiti insiti nell’umana percezione, comprensione e cognizione.
In termini linguistici ed etimologici, dignità deriva dal latino Dignus, ovvero degno. Ma anche, nella radice greca da Axios, per esteso quindi “assiomatico”, che non necessita di prova o dimostrazione in quanto evidente.
Già, qui casca mediamente l’asino: “evidente”, ovvero “chiaro in sé stesso”.
Ora, almeno in teoria, dovrebbero esistere cose evidenti, quindi apertamente visibili. Il problema sorge nel momento in cui si prende in considerazione l’occhio di chi guarda. Se la vista è soggettiva, allora non esiste evidenza che tenga: verrà percepita sulla base del proprio paradigma cognitivo.
In sintesi: più sei idiota, meno è possibile mostrarti qualcosa di reale, perchè ti mancano gli strumenti per vederlo. E più sei idiota, più sei convinto di avere ragione (ragione che, per definizione ti manca, altrimenti ragioneresti e quindi non saresti un idiota), meno sei disposto a riconoscere qualcosa che va contro le tue convinzioni.
Da qui l’inutilità dell’evidenza nella stragrande maggioranza dei casi umani, dove non viene infatti riconosciuta. La dignità non sfugge a questa pur triste logica e dunque gli indegni vengono visti come degni e viceversa.
In ottava alta, ovviamente è tutto un altro discorso. La dignità, ovvero la degnità implica la possibilità oggettiva di accesso ad un determinato valore, sia esso fisico, spirituale o sottile.
Se sei degno di un rango, esso ti appartiene non su base soggettiva, bensì iniziatica. Se non sei degno di un certo piano spirituale, semplicemente non hai la possibilità di accedervi, a prescindere di quanto tu pensi di esserlo.
In questo caso la dignità è uno stato di coscienza. Quindi se non sei certo di possederla, allora significa che non la possiedi perchè nel momento stesso in cui questo accade, non hai più alcun dubbio in merito.
In sintesi: dignità in ottava bassa equivale all’essere meritevole di rispetto agli occhi di chi guarda, mentre in ottava alta significa esprimere, (se voluto e a prescindere da qualunque osservatore) , la persistenza in un determinato stato di coscienza.
Ricordatevi di essere eccezionali!
Ci si vede in giro!
Dignità in ottava bassa ed alta
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Quando si parla di dignità (come del resto di molte altre qualità raramente esplorate), il rischio di fare confusione diventa massimo. Non tanto per la cosa in sé, per definizione assiomatica, come vedremo più avanti, quanto per i limiti insiti nell’umana percezione, comprensione e cognizione.
In termini linguistici ed etimologici, dignità deriva dal latino Dignus, ovvero degno. Ma anche, nella radice greca da Axios, per esteso quindi “assiomatico”, che non necessita di prova o dimostrazione in quanto evidente.
Già, qui casca mediamente l’asino: “evidente”, ovvero “chiaro in sé stesso”.
Ora, almeno in teoria, dovrebbero esistere cose evidenti, quindi apertamente visibili. Il problema sorge nel momento in cui si prende in considerazione l’occhio di chi guarda. Se la vista è soggettiva, allora non esiste evidenza che tenga: verrà percepita sulla base del proprio paradigma cognitivo.
In sintesi: più sei idiota, meno è possibile mostrarti qualcosa di reale, perchè ti mancano gli strumenti per vederlo. E più sei idiota, più sei convinto di avere ragione (ragione che, per definizione ti manca, altrimenti ragioneresti e quindi non saresti un idiota), meno sei disposto a riconoscere qualcosa che va contro le tue convinzioni.
Da qui l’inutilità dell’evidenza nella stragrande maggioranza dei casi umani, dove non viene infatti riconosciuta. La dignità non sfugge a questa pur triste logica e dunque gli indegni vengono visti come degni e viceversa.
In ottava alta, ovviamente è tutto un altro discorso. La dignità, ovvero la degnità implica la possibilità oggettiva di accesso ad un determinato valore, sia esso fisico, spirituale o sottile.
Se sei degno di un rango, esso ti appartiene non su base soggettiva, bensì iniziatica. Se non sei degno di un certo piano spirituale, semplicemente non hai la possibilità di accedervi, a prescindere di quanto tu pensi di esserlo.
In questo caso la dignità è uno stato di coscienza. Quindi se non sei certo di possederla, allora significa che non la possiedi perchè nel momento stesso in cui questo accade, non hai più alcun dubbio in merito.
In sintesi: dignità in ottava bassa equivale all’essere meritevole di rispetto agli occhi di chi guarda, mentre in ottava alta significa esprimere, (se voluto e a prescindere da qualunque osservatore) , la persistenza in un determinato stato di coscienza.
Ricordatevi di essere eccezionali!
Ci si vede in giro!
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