Perchè ci interessa tanto il giudizio altrui
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Parlando in senso generale, non è difficile per ciascuno di noi comprendere che dipende dal giudizio altrui; anche il più incallito individualista di solito, se osserva con attenzione, non farà fatica a scoprire ambiti in cui, in modo più o meno cosciente, dipende da quello che di lui/lei pensano le altre persone.
Attenzione, non stiamo parlando di dipendenza fisica, quella difficilmente è evitabile, dato che siamo animali sociali e non viviamo in una grotta sull’Himalaya, ma di quella sottile e molto più forte dipendenza che ci obbliga sempre, di riffa o di raffa, a cercare, a volte anche disperatamante, l’approvazione di qualcuno; e più stimiamo quel qualcuno più il suo giudizio su di noi sarà importante e la sua buona considerazione nei nostri confronti indispensabile.
Questo accade per molti motivi ma sostanzialmente per uno, principale: noi non ci bastiamo e non sappiamo vedere ed accettare noi stessi per quello che siamo (davvero).
Noi sostanzialmente abbiamo sempre bisogno di uno specchio per vederci. Vale nella materia ma anche nel mondo dello spirito e dell’essenza. Nella materia usiamo uno specchio per vedere come stiamo, che aspetto abbiamo. Per vedere chi, cosa e come siamo, usiamo come specchio… gli occhi degli altri.
C’è una scena dei fumetti incredibilmente saggia, in cui Capitan Marvel (quello originale) si ritrova invaso da un grandissimo potere che lo trasforma radicalmente. Alla fine della trasformazione Marvel si stupisce che il cambiamento riguardi pochi dettagli della sua uniforme e il colore dei capelli. Ed è in quel momento che il suo mentore gli fa notare che il cambiamento non avrebbe potuto essere notato senza uno specchio. A quel punto Marvel realizza che è diventato consapevole di sé stesso (e non solo: di fatto lo è di tutto il cosmo).
Ed è proprio la mancanza di consapevolezza in noi stessi che ci porta a cercar“ci” negli occhi di chi ci osserva, dato che non essendo consapevoli, non possiamo “autovederci”.
Meno siamo consapevoli e più cercheremo conferme intorno a noi di ciò che siamo. Da qui, come ovvia conseguenza, il nostro bisogno dell’approvazione altrui da cui, in seconda istanza ma nemmeno troppo, deriva tutta la nostra considerazione per ciò che “gli altri” pensano di noi. Se pensano male, noi siamo male; se pensano bene, allora noi siamo bene.
Il problema che nasce in questo caso è, come risulta ovvio, che ad ogni paio di occhi che incontriamo (e spesso anche all’interno degli occhi di una stessa persona), cambia il modo in cui siamo visti, il che ci porta al problema finale: ogni “altro” che ci guarda ci vede in modo diverso ed il problema di come appariamo si ripropone. Ci sono ovviamente delle macroaree ma nemmeno poi così definite. Se ci comportiamo da stronzi, bene o male genereremo la stessa risposta in quasi tutti e anche se ci comportiamo come dei santi. Fintanto che non incontreremo uno stronzo che vedrà nella nostra santità una cosa estremamente fastidiosa oppure un santo che vedrà nella nostra stronzaggine qualcosa di insopportabile. E si ricomincia daccapo.
Noi e “gli altri”, di fatto seguiamo lo stesso paradigma. Come non siamo consapevoli di noi stessi, allo stesso modo ed in diversi gradi non lo sono coloro nei cui occhi cerchiamo disperatamente l’approvazione del nostro agire (e di conseguenza, essendo identificati nelle nostre azioni, del nostro essere).
Il risultato finale è quello che vediamo costantemente, dentro e attorno a noi: il costante caracollare alla ricerca dell’approvazione di chiunque incontriamo, anche se solo per un minuto. In più, meno siamo consapevoli di ciò che abbiamo all’interno, più siamo convinti dell’importanza di ciò che abbiamo all’esterno: del nostro aspetto, della nostra forma fisica, del modo in cui ci vestiamo… in una parola: del nostro apparire.
Ed ecco il fiorire di una società in cui l’apparenza finisce per essere tutto ciò che conta. E allora i Social Network, i selfie, il nascondersi costantemente al contatto con le altre persone (parlo delle varie forma di “chattismo”), la ricerca della fama, della notorietà a tutti i costi e l’inseguire quei personaggi che, almeno in apparenza, sono amati dal pubblico. In una società costituita da persone anche solo leggermente meno inconsapevoli di quelle che popolano la nostra, programmi come “Amici” o “Il Grande Fratello” e altri format del genere, non avrebbero neppure mai visto la luce e coloro che oggi, per fortuna non in modo totale, fanno “cultura”, sarebbero a chiedere l’elemosina oppure a fare un altro lavoro.
Quale è la soluzione? Sempre quella: diventare consapevoli di noi stessi. E, per una volta, viva Internet che ci offre la possibilità di accedere rapidamente a contenuti che anche solo dieci anni fa occorreva cercare in giro per biblioteche, senza sapere cosa cercare peraltro.
Senza voler scomodare grandi livelli di spiritualità, esercizi e tecniche come quelle proposte dalla tradizione di Gurdjieff, se praticati con serietà e costanza, potrebbero portare ognuno di noi ad un punto di lucidità totalmente impensabile per il livello attuale di consapevolezza.
Una disciplina come lo Yoga (quello vero, non le varie puttanate che oggi vengono propalate come tali), davvero potrebbe portarci ad una consapevolezza nuova.
La scelta, come sempre è nostra: possiamo decidere di continuare con la nostra maledetta superficialità ed inconsapevolezza, oppure decidere di cambiare. Ma non domani: qui, ora.
Perchè il domani è sempre tale e quindi, se non cominciamo oggi, domani sarà uguale.
Ci si vede in giro!