Osservare: non trarre conclusioni

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Osservare. Una parola semplice ma che nasconde una delle cose più difficili da fare.

Osservazione implica alcune cose. La prima è che esista un osservatore. L’osservatore in questione può essere oggettivo oppure no. Parliamo prima di tutto di questo: oggettivo (in riferimento all’osservazione).

Per essere oggettivi occorre innanzitutto essere così perfettamente neutri che la realtà non appare più ma “si palesa”. Non è un gioco di parole: quella che ognuno di noi vede o percepisce non è la realtà ma una parte di essa. Questa parte è proporzionale alla lucidità della nostra percezione.

Pensiamo a uno specchio: anche il più perfetto specchio (che non esiste, peraltro), restituirà comunque solo una parte di quello che riflette. Così è la nostra percezione, che peraltro in condizioni ordinarie è ben lungi dall’essere perfetta. Quindi la nostra lucidità (ovvero la capacità di riflettere) è la misura della nostra oggettività.

Esiste una scala di oggettività che possiamo percorrere, pressoché all’infinito (se volete leggere il post dedicato lo trovate QUI). Più saliamo in questa scala, più la nostra osservazione diventa oggettiva ma sarebbe meglio dire che diventa meno soggettiva. Un’osservazione realmente oggettiva quindi presume che l’osservatore contenga già in sé la Verità ultima, cosa peraltro già vera, ma a livello realizzativo. In altre parole l’unico osservatore perfetto è colui che ha completamente realizzato la verità.

Tuttavia, lungo questo semi-infinito percorso di realizzazione, più diventiamo consapevoli dei rapporti causa-effetto, più diventiamo oggettivi. Per fare un esempio pratico, se con il nostro sapere di oggi ci trasferissimo nel 1200, tutto quello che pensavano le persone dell’epoca ci apparirebbe ridicolo, completamente falso. Ma per loro, per quelle persone che incontreremmo per strada, sarebbe perfettamente reale, oggettivo.

Quindi l’osservatore perfetto non esiste, se non in un unico caso che però, per ovvie ragioni, è al momento fuori portata.

Tornando all’osservazione, dobbiamo quindi innanzitutto dire questo: l’osservazione perfetta non esiste. Però tra osservazione perfetta e totale soggettività esistono diversi gradini e passaggi. Il primo passaggio è quello di trattenere la conclusione, e questo è ciò che rende l’osservazione così difficile da mettere in atto, perchè è la nostra mente a fare la differenza.

La mente è strutturata per fare 1 + 1 = 2. Trarre conclusioni è la sua missione. Per questo è così difficile osservare, perchè prima dobbiamo imparare a prescindere da quello che fa la nostra mente.

Osservare significa proprio questo: prescindere dalla mente. La mente non può osservare, perchè non ha il mezzo per farlo. L’osservazione è a carico della consapevolezza, la mente non c’entra niente.

E questo è il secondo motivo per cui osservare è così difficile: siamo abituati a chiamare “osservazione” quello che in realtà è il risultato dell’elaborazione della mente. La vera osservazione è quindi abitualmente completamente fuori portata, perchè siamo normalmente nelle stesse condizioni di qualcuno che ha un’allucinazione ma non sa di averla: il primo passo è farsi venire il dubbio che quella che vediamo sia un’allucinazione; il secondo è raggiungere la certezza che si tratti di quello, a prescindere da quello che dicono i sensi. Il terzo passo è quello di iniziare ad agire senza basarsi su quello di cui ci parlano i sensi e la mente.

Lo stesso vale per l’osservazione. Noi abitualmente siamo immersi in un’allucinazione che non riusciamo a riconoscere per tale. Non osserviamo ma consideriamo, traiamo conclusioni (esatte o no non è rilevante) e quindi non abbiamo accesso alla realtà.

Il primo step è lo stesso: farsi venire un dubbio che il mondo non sia quello che vediamo. Il secondo è raggiungere la certezza di ciò, il terzo è iniziare ad agire a prescindere da quello che ci dice la nostra mente, con uno scopo: quello di vedere la realtà per quello che è. E qui c’è un trucco della mente: non bisogna assolutamente volere che l’allucinazione cessi, perchè questo è un processo mentale. Quello a cui dobbiamo puntare è a che inizi la visione della realtà.

Chiara la differenza? Non dobbiamo cercare di eliminare l’errore ma solo cercare l’esatto. Sembra la stessa cosa ma il primo processo è mentale mentre il secondo no. E dato che una pistola non si può sparare, allo stesso modo la mente non si può gestire con la mente.

Il primo gradino è quindi proprio quello di eliminare il processo deduttivo per rimanere al dato di fatto. Fare questo significa arginare grandemente il potere della mente per entrare in quello della consapevolezza. Così facendo interrompiamo una catena importante; quello che deduciamo oggi infatti diventa la base su cui trarremo conclusioni domani, quindi se non traiamo conclusioni oggi, domani, in estrema sintesi, diremo meno cazzate.

Il secondo gradino, altrettanto importante, è smettere di agire in conseguenza delle conclusioni a cui, comunque, la mente arriva. Questo implica spostarsi su un piano superiore a quello mentale ordinario, perchè implica l’osservazione dei processi mentali da parte di un osservatore che, come potrete ben comprendere, non ha già più nulla a che vedere con quello che consideravamo tale all’inizio di questo post.

E questo è un sistema per iniziare a muoversi verso una maggiore oggettività. E’ ovvio che stiamo parlando di un processo che non deve essere messo in atto in quegli ambiti in cui è richiesto invece l’uso della mente. Se state guidando in autostrada, ad esempio, il processo deduttivo è già in parte sospeso dall’attenzione alla guida e tale deve rimanere, ovviamente insieme a quello decisionale. Quando avremo imparato ad usare la mente nel modo corretto, peraltro, questi processi saranno estremamente più rapidi e molto più oggettivi, per cui anche le reazioni saranno meno istintive ma non per questo meno rapide.

In questo periodo specifico, aggiungerei che tutto questo è ancora più importante; evitiamo di crocifiggere presunti responsabili ma dedichiamo piuttosto la stessa energia nella direzione di chi sta aiutando il prossimo. Fa mille volte di più un pensiero positivo inviato a un medico o a un infermiere che un pensiero negativo inviato a chi (a torto o ragione) sta facendo un (presunto o reale) errore.

Nel primo caso infatti stiamo facendo qualcosa che prescinde dalla mente, mentre nel secondo è esattamente il contrario.

Ci si vede in giro (più in là)!

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Angelo

Ciao, Franz, leggo sempre con piacere i tuoi post e ogni volta imparo qualcosa in più.